Verona/Filarmonico – Il viaggio a Reims (20 Maggio 2017)

La Stagione Lirica al Filarmonico si chiude con una prima assoluta a Verona: Il viaggio a Reims, composta da Rossini per l’incoronazione di Carlo X di Francia. Un’opera d’occasione, quindi. Un “mostro sacro” da mettere in scena, di difficile esecuzione, vuoi per la difficoltà di trovare un cast adeguato (ben 10 sono i ruoli principali, attorniati da uno stuolo di altrettanti comprimari) vuoi per l’inattualità della vicenda messa in atto: un panegirico (a tratti imbarazzante) in onore dell’ultimo sovrano dei Borbone, regnante dal 1824 al 1830 (Rossini compose e rappresentò il Viaggio nella primavera del 1825).

La vivace fine del regno di Carlo X…almeno questo non è stato decapitato, dài (da Wikipedia)

Il “diletto, augusto regnator” celebrato dal libretto, in realtà, stava approntando al regno una svolta tradizionalista, con la vana speranza di cancellare le riforme ottenute dalla Rivoluzione Francese. Lo stesso “viaggio”, che i personaggi dell’opera intraprendono, è per andare ad assistere alla sacra unzione del Re nella Cattedrale di Reims, un rito vetusto e passatista che persino Re Luigi XVI (in tempi non ancora rivoluzionari) aveva rifiutato.  Dopo la Rivoluzione di Luglio del 1830 (celebrata dalla celebre tela La libertà guida il popolo di Eugène Delacroix)  e l’abdicazione di Carlo X, l’opera non aveva più senso di esser messa in scena: dopo qualche rappresentazione (con libretto modificato) in onore dei Moti Rivoluzionari del 1848, e delle nozze di Sissi con Cecco Beppe del 1854, la partitura venne dimenticata e riscoperta solo nel XX Secolo.

La regia di Pier Francesco Maestrini (coadiuvata dai vivaci costumi di Alfredo Troisi) ha assecondato in toto il carattere giocoso dell’opera: il Coro e gli inservienti dell’albergo sono nascosti sotto mascheroni di gommapiuma, dei Gabibbi in bianco e nero, guidati da una Madama Cortese un po’ principessa Disney, un po’ Julie Andrews in Tutti insieme appassionatamente; Lord Sidney sfoga le sue pene amorose ubriacandosi al bar dell’albergo, mentre Corinna si difende dalle avanches di Belfiore, tipico maniaco “da parco giochi”. Il pubblico ride e si diverte, grazie alle animazioni di Joshua Held, le quali, tuttavia, se da un lato assecondano il disegno registico, dall’altro rendono la regia stessa “schiava” delle proiezioni.

Per un’Europa più matta e rossiniana

Ci sono alcuni momenti fortunati, che strappano il sorriso: l’apparizione delle divinità dell’Olimpo, durante il Grazie vi rendo oh dei della Contessa; Cupido che cerca di infilzare Sidney con i suoi dardi amorosi; gli accordi dell’arpa durante gli interventi di Corinna strizzano l’occhio a certe animazioni di Fantasia della Disney, mentre la Luna compare tale quale l’ha resa celebre George Méliès ne Le voyage dans la lune.

La voglia di “fare” tuttavia eccede in qualche trovata un po’ becera: nella stretta del sestetto A tali accenti in seno, i personaggi, presi da un impellente bisogno di andare in bagno, continuano a bussare violentemente alla toilette, occupata da Corinna. Lungi dall’essere bacchettoni, le allusioni sessuali (non molto raffinate) si sprecano: Melibea è una ninfomane che non si accontenta dei soli Alvaro e Libenskof, mentre il busto di Carlo X dà una pacca di apprezzamento sul sedere della Contessa. Va detto, comunque, che il pubblico gradisce e si diverte molto, nonostante le quasi tre ore di musica (divise in 2 parti, con un intervallo dopo la Scena di Sidney).

Il cast, formato quasi completamente da giovanissimi artisti (alcuni dei quali usciti dall’Accademia Rossini di Pesaro), ha decisamente costituito la parte migliore della serata.

Brillano soprattutto le donne: Francesca Sassu, reduce dalla recente Norma, è un’ottima padrona di casa, una Madama Cortese salda e sonora (il che non è poco, visto che si ritrova a cantare Di vaghi raggi adorno attaccata allo schermo in fondo al palcoscenico, assecondando il gioco delle proiezioni); Raffaella Lupinacci è una volitiva e potente Marchesa Melibea, dalla voce sensuale e pirotecnica; le giovanissime Marina Monzó Lucrezia Drei si impongono, rispettivamente la prima come una disinvolta e spensierata Contessa di Folleville, e la seconda come precisa ed elegiaca Corinna (le due, nel celebre Concertato a 14 voci, si “sfidano” con i terribili picchettati dell’Aria della Regina della Notte, emulando la Contessa di Luciana Serra nella ripresa del 1992 a Berlino).

Non sfigurano nemmeno gli uomini: i due tenori Xavier Anduaga, Belfiore dalla voce scorrevole e squillante, e Pietro Adaini, potente ed energico Libenskof; i due buffi Giovanni Romeo quale Barone di Trombonok, degno successore nel ruolo (ri)creato da Enzo Dara, e Alessandro Abis, istrionico e rotondo (sia nel costume, sia nella voce) Don Profondo, che, dopo un’inizio in sordina supera dignitosamente lo scoglio della temibile Aria Medaglie incomparabili; il basso Marko Mimica, anch’esso reduce dalla precedente Norma, che tratteggia un malinconico e tenerissimo Lord Sidney, volutamente vestito e truccato come Charlot; infine, il valido Alessio Verna nell’ingrato ruolo di Don Alvaro, il meno approfondito dei personaggi principali, che si distingue però come buon attore.

Applausi

Note positive anche dai ruoli di contorno: si distinguono Stefano Pisani (divertente Don Luigino), Stefano Marchisio (sonoro e preciso Antonio), Omar Kamata (istrionico e robusto Don Prudenzio) e Francesca Micarelli (il cui ruolo, Delia, non le permette di potersi imporre vocalmente, ma si distingue per le ottime doti attoriali, e per l’irresistibile cappello a forma di capitello greco). Alice Marini (Maddalena), forse perché relegata e “imprigionata” nel costume di gommapiuma, non riesce a imporsi bene nell’Introduzione Presto presto, venendo coperta dall’Orchestra e dal Coro.

Francesco Omassini, alla guida dell’Orchestra dell’Arena di Verona, asseconda le esigenze vocali dei giovani interpreti, senza sommergerli con tempistiche frettolose, dando alla partitura ampio respiro: ne giovano molto la stretta dell’Introduzione Or state attenti, l’aria Medaglie incomparabili, mentre un po’ troppo al rallentatore è parso il finale Viva il diletto augusto regnator. Il Coro, come sempre, è diligentemente preparato dal maestro Vito Lombardi.

Un pubblico numeroso, incuriosito dalla rarità del titolo, ma sicuramente divertito, ha decretato un caloroso successo alla compagnia di canto, con calde e meritate ovazioni soprattutto al cast femminile.

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