Vicenza/Olimpico – L’inganno felice (3 giugno 2018)

Dopo La cambiale di matrimonio dell’anno scorso, prosegue il progetto delle Settimane Musicali al Teatro Olimpico di Vicenza (giunte alla ventisettesima edizione) di rappresentare tutte le cinque farse di Rossini. Il carattere orchestrale ridotto e l’esiguo numero di solisti impegnati ben si confanno alle esigenze del capolavoro di Palladio completato da Scamozzi. Quest’anno è la volta de L’inganno felice, su libretto di Vincenzo Foppa, il primo grande successo del compositore poco più che ventenne: le rappresentazioni di questa hit rossiniana cadono a fagiolo con le celebrazioni per il 150° della morte.

L’Inganno, rispetto alle altre sorelle, è una farsa decisamente anomala: l’antefatto è tutt’altro che farsesco, con la casta moglie  calunniata ingiustamente da un seduttore rimasto a bocca asciutta, il quale si vendica accusandola di infedeltà presso il di lei marito, che presta fede alla menzogna e ne ordina la condanna a morte. Il lato comico si potrebbe manifestare nel solo Batone, l’aiutante dal cuore tenero del villain, che, novello Cacciatore di Biancaneve, non ha cuore di infierire sulla povera duchessa: le minacce di morte del suo datore di lavoro, i suoi goffi tentativi di scoprire la vera identità di Nisa/Isabella, il riconoscimento che risveglia il vecchio rimorso fanno sì ridere il pubblico, ma non certo l’impacciato e scioccato sicario.

Gli Dèi stanno a guardare (foto della Marti)

Lo shock, il trauma sono la lettura registica di Alberto Triola, che legge in chiave psicanalitica il vissuto di Isabella, vittima di calunnie, abbandono e violenze. Ed è su un lettino da psicanalista che appare per la prima volta Isabella, impaurita, mentre stringe convulsamente a sé una bambola, che le viene sottratta dalle mani mentre ripercorre le sue sventure durante la Sinfonia. Tarabotto, nelle vesti del dottore, l’incoraggia ad andare avanti con la terapia, e la donna rivive il naufragio, la tempesta, e l’approdo sulle spiagge vicino la miniera, il tutto ricostruito da tre onnipresenti mimi (su coreografie di Clelia Fumanelli), due dei quali ritorneranno nelle vesti di “doppioni” di Isabella e Bertrando.

L’affascinante percorso psicanalitico affiora però solo all’inizio e alla fine, con Isabella guarita dalla sua fobia dei contatti con gli uomini. La regia si muove tra l’essenziale e il didascalico nei simbolici elementi scenografici di Giuseppe Corsaro: la prua della nave arenata, sacchi di juta che fungono da sedie e trincee, una gigantesca sfera gonfiabile, navicella e prigione di Isabella al tempo stesso. I cantanti sembrano aggirarsi per il palcoscenico senza un’idea di fondo, sopratutto durante le Arie: più riusciti i brani d’insieme e le relazioni tra i personaggi, soprattutto nel Duetto buffo tra Batone e Tarabotto. Eccezion fatta per una botola che porta alle miniere e per due scivoli che permettono ai solisti di aggirarsi nella buca d’orchestra e nella galleria, l’uso dello spazio scenico non si risolve al meglio, forse per rispettare i vincoli derivati dall’utilizzo dell’Olimpico, sito iscritto tra i beni Patrimonio dell’Umanità. Funzionali i costumi del citato Corsaro e di Sara Marcucci. Il disegno luci di Giuliano Almerighi, più che aiutare i solisti, sembra attento a valorizzare il monumentale palladiano. Lo spettacolo comunque non destabilizza né infastidisce, e prosegue onestamente e senza intoppi.

Applausi (uniche foto fatte allo spettacolo prima di venire redarguiti)

Giovanni Battista Rigon, alla guida dell’Orchestra di Padova e del Veneto, guida con mano sicura il cast di giovanissimi interpreti, tra cui spicca l’Isabella di Eleonora Bellocci, cui vanno i più consensi più calorosi del pubblico. Il giovane soprano si distingue (assecondata anche dalla perfetta acustica dell’Olimpico) già nei due brani d’insieme con cui apre l’opera, fino a scatenare “anzi tempo” gli applausi del pubblico subito dopo il Cantabile dell’Aria Al più dolce e caro oggetto, poco prima di attaccare con la Cabaletta. Di gran classe il titubante Batone di Sergio Foresti, che viene a capo con onore alle insidie dell’Aria Una voce m’ha colpito, scritta appositamente da Rossini per il celebre basso Filippo Galli. Bene anche l’istronico Tarabotto di Daniele Caputo, il timido Bertrando di Patrick Kabongo, perfettamente a suo agio con la dizione italiana, e il minaccioso Ormondo di Lorenzo Grante.

Il pubblico applaude con calore ed interesse alla chiusura dei singoli pezzi, suggellando un franco successo a tutti gli artisti impegnati, con particolare entusiasmo per il giovane soprano.

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