Verona/Filarmonico – Madama Butterfly (22 Dicembre 2019)

Un diluvio di fiori chiude la rassegna “Viaggio nel tempo e negli stili”, breve appendice dell’alterna Stagione 2018-2019 e trailer della più succosa Stagione 2020, dove spicca l’intrigante proposta dell’Amleto di Francio Faccio, un’autentica rarità in prima esecuzione assoluta a Verona. Tutt’altro che una rarità è invece Madama Butterfly, l’ultima opera in cartellone del 2019 al Teatro Filarmonico, titolo assente dagli anni ’90, e che ritorna “al chiuso” (con questo allestimento firmato in coproduzione col Teatro Nazionale Croato di Zagabria), sua sede più consona rispetto agli allestimenti nei fin troppo ampi spazi aperti dell’Arena.

“Amiche, io son venuta al richiamo d’amor…”

Lo spettacolo di Andrea Cigni è totalmente immerso nella natura: la scena di Dario Gessati si compone di alti fusti di betulle slanciati verso il cielo, che scorrono rivelando vari ambienti ora della foresta ora della casa di Cio-Cio-San. Una pioggia incessante di foglie e fiori cade dall’alto, in un rito continuo di celebrazione della natura, della morte e della rinascita. Tra questi alberi si aggirano sinistri fantasmi, che sembrano usciti da un film di Miyazaki, dai volti coperti da grossi mascheroni, tanto inquietanti quanto innocui: allietano il sogno del bambino giocando con lui e facendo volare un aquilone con la bandiera americana, e assistono alla morte rituale di Cio-Cio-San, aspettando che la sua anima si unisca (o si ricongiunga?) a loro. Come consci della loro presenza, benché invisibili ai loro occhi, i personaggi si aggirano per la scena, in preda a una paura che, man mano che lo spettacolo prosegue, si calma e diventa una placida rassegnazione. Ben caratterizzata anche la costruzione dei personaggi: divertono sia il Coro che scatta foto con tanto di flash al matrimonio, sia lo svolazzante e tuttofare Goro, mentre Suzuki e Sharpless perdono qualsiasi caratterizzazione bonaria e goffa. Adeguati al contesto i costumi di Valeria Donata Bettella, più luminosi nella prima parte dello spettacolo, più luttuosi e grigi man mano che lo spettacolo va avanti. Funzionale il disegno luci di Paolo Mazzon.

“Trionfa il mio amor!”

Dal punto di vista musicale, Francesco Ommassini sposa e fa sua l’idea registica conferendole una serenità matura ed una ieraticità sacrale, davvero Zen, senza indulgere troppo a sonorità troppo violente, che potrebbero far crollare quelle fragili betulle. Se il Pinkerton di Raffaele Abete è decisamente perfezionabile dal punto di vista vocale e attoriale, le cose migliorano nettamente con la Cio-Cio-San di Daria Masiero, che sostituisce la collega indisposta: dopo un Primo Atto in sordina, poco aiutata dal partner in scena, regala autentiche emozioni nella seconda parte dello spettacolo, culminate dalle richieste di un bis (non concesso) della celeberrima Un bel dì vedremo. Ben riuscite anche le interazioni con i colleghi, la fiera e volitiva Suzuki di Manuela Custer, la cui presenza severa e austera ricorda la Mrs Danvers di Rebecca – La prima moglie, e il giovanile e autoritario Sharpless di Mario Cassi, generoso artista ed attore. Bene anche il mercuriale Goro di Marcello Nardis, l’altera Kate di Lorrie Garcia e il severo zio Bonzo di Cristian Saitta.

Nei ruoli di contorno ben figurano alcuni membri solisti degli artisti del Coro della Fondazione (ben preparato anche in quest’occasione dal Maestro Vito Lombardi): Sonia Bianchetti (la Madre), Manuela Schenale (la Cugina), Salvatore Schiano di Cola (il Commissario imperiale), Maurizio Pantò (l’Ufficiale del registro), Nicolò Rigano (il Principe Yamadori). Contribuiscono alla riuscita della serata i mimi/fantasmi e il bravissimo attore bambino nei panni di Dolore, il figlio di Cio-Cio-San.

Il numeroso pubblico, già scatenato agli applausi di Un bel dì vedremo e alla fine del celeberrimo Coro a bocca chiusa, tributa un caloroso successo alla fine dello spettacolo al Direttore, a Cio-Cio-San, Suzuki e Sharpless.

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